Potenza, 30 novembre 2009
Il diabete, risvolti di una patologia “sociale”
Vita adeguata ed autogestione, sono alla base del controllo di una “malattia” complessa, di cui spesso si ha difficoltà a parlare
Il diabete è una patologia circondata dalla paura. La comprensibile paura di chi ne è affetto, e quella sospettosa, a volte ignorante, di chi si trova ad essere “osservatore interessato”. Le due, confluiscono come in una specie di pozione velenosa che rende difficile, per chi deve affrontare la patologia in prima persona, gestirla come si deve, e persino parlarne. Ma il diabete può e deve essere tenuto sotto controllo, e, siccome in questo processo è fondamentale la capacità di sapersi autogestire, è quanto mai vitale confrontarsi con gli altri.
In occasione della manifestazione tenutasi domenica scorsa a Sasso di Castalda, “Diabete e igiene di vita”, abbiamo intervistato il dottor Giuseppe Citro, Responsabile della Diabetologia e Endocrinologia dell’Adulto e del Bambino presso l’ASL n.2 di Potenza. Sono in molti, nel capoluogo e non solo, ad essere in debito di riconoscenza con lui, per la serietà e l’umanità con cui svolge un compito difficile: curare una patologia, che, quando non è congenita (diabete di Tipo 1), è figlia dello stress e delle cattive abitudini alimentari e di vita del nuovo millennio. Un compito che diviene assai più delicato, quando ad essere affetti da diabete, sono i bambini .
“Questa sera abbiamo avuto bambini con meno di due anni, affetti dal diabete di tipo 1 – ci spiega- e in questi casi è fondamentale l’apporto dei genitori dato che, come dico sempre io, ad essere affetti dalla patologia sono in tre”. In ogni caso, la parola d’ordine è “auto-gestione”.
Certo, e bisogna dar vita alla cosiddetta “terapia educazionale”, già attraverso incontri come questo, dove partecipano bambini, adolescenti e persone di tutte le età. Quella per curare il diabete di tipo 1, è una terapia complessa, per la quale è necessario insegnare una vera e propria serie di comportamenti. Queste giornate servono a verificare quanto è stato appreso.
Il diabete è una “malattia”dai contorni “sociali”. E’ una cosa che viene tenuta nascosta, di cui si ha difficoltà a parlare. Perché?
Si tratta di un antico retaggio. Alla base c’è una vera e propria fobia e diffidenza nei confronti della siringa, che rende il diabetico, agli occhi di alcuni, quasi come un “dipendente” da chissà cosa. Oggi la siringa non si usa più. Ci sono i praticissimi microinfusori. Per non parlare di coloro che utilizzano esclusivamente delle pillole.
C’è poi la vecchia questione: “Il diabetico io non me lo sposo”.
E’ vero anche questo. La paura è quella di avere figli a loro volta diabetici, ma la scienza oggi ci dice che questo non è affatto sicuro , è una probabilità solo parziale. Da qui la necessità di parlare di queste cose, invece di tacere.
Questi incontri servono proprio a creare la “mentalità di gruppo”, in cui ognuno porta le proprie esperienze. Ci si confronta, ci si diverte anche, e si cresce tutti insieme, soprattutto.
Parliamo adesso del “Tipo 2”, il cosiddetto “diabete alimentare”. E’ corretto definirlo una malattia tipica dei tempi moderni, fatta di abusi alimentari e di vita sregolata?
E’ la classica “patologia del benessere”, frutto della sedentarietà e dell’obesità. Anche lo stress può giocare un ruolo decisivo, oltre alla cosiddetta “familiarità”.
Quali sono i campanelli di allarme per uno che ne diviene affetto?
Ci sono segnali eclatanti come una sete ardente e il continuo bisogno di urinare. Bisogna stare molto attenti ed intervenire subito, perché anche questo tipo di diabete può avere delle complicazioni terribili. Molti pazienti vengono da noi già con un principio di retinopatia, o problemi cardiaci.
Un consiglio su tutti allora.
Il consiglio è uno solo: condurre un stile di vita adeguato. Controllare il peso, fare attività fisica e, cosa importantissima, assolutamente non fumare. Per quanto riguarda il diabete di Tipo 1, no possiamo prevenirlo, anche se possiamo capire chi è predisposto. In questi casi è fondamentale, come ho già detto, l’autogestione terapeutica.
Intervista fatta al Dott. Pino Citro
Fonte: Controsenso di sabato 28 novembre 2009