«I microinfusori oggi rappresentano un’opzione terapeutica realistica e affidabile per molte persone con diabete insulino-trattate», afferma Claudio Tubili, Responsabile del Servizio di Diabetologia dell’Azienda Ospedaliera San Camillo – Forlanini di Roma. È anche vero però che – come ricorda Ester Vitacolonna, Diabetologa presso il Servizio di Diabetologia del Policlinico Universitario di Chieti, «la terapia con microinfusore comporta degli oneri a vari livelli: per il Sistema Sanitario che la finanzia, per il Team che deve devolvere molte ore di lavoro per definire la terapia, per il paziente e la sua famiglia che devono acquisire le conoscenze necessarie».
A fronte di questo investimento quindi, tutti si attendono dei risultati: «in primo luogo la massima appropriatezza della prescrizione, indicazioni chiare e una selezione accurata delle persone da parte di un Team esperto; in secondo luogo un utilizzo reale delle potenzialità offerte dallo strumento», sottolinea Ester Vitacolonna, Direttore del Comitato Scientifico di Diabete Italia. «I microinfusori sono come delle Ferrari, ci si aspetta quindi che chi le ‘piloti’ abbia da una parte le competenze necessarie per farlo, dall’altra che tragga da questa terapia ottimale dei risultati migliori. Forse, per questo motivo, è importante dividere gli interventi formativi in due ‘pacchetti’: uno iniziale per familiarizzare e poi gestire al meglio il microinfusore e uno a seguire nel tempo per imparare tutte le funzioni necessarie a ottimizzarne l’utilizzo. Certamente non ci si può accontentare di risultati mediocri». Il reale utilizzo delle potenzialità della terapia con microinfusore nella vita quotidiana dipende «dalla persona in primo luogo ma, in parte non piccola, dalle caratteristiche dello strumento stesso», continua Ester Vitacolonna; «in questo senso si assiste a una progressiva innovazione tecnologica che – una volta raggiunti gli obiettivi di sicurezza – può evolvere in diverse direzioni, allo scopo di facilitare l’utilizzo del microinfusore stesso nelle condizioni di vita quotidiana. Si pensi che alcuni microinfusori sono in grado di comunicare via bluetooth con un glucometro esterno, oppure attraverso dispositivi separati è possibile ottimizzare la gestione stessa della pompa infusionale.
«E lo vivono ogni giorno le persone con diabete che, in numero crescente, stanno passando dal loro ‘primo’, al ‘secondo’ o al terzo modello di microinfusore», aggiunge Claudio Tubili. «Le direzioni nelle quali si esprime il miglioramento tecnologico possono essere diverse», continua Ester Vitacolonna, tra gli autori delle prossime Linee Guida sui microinfusori: «menù sempre più intuitivi per personalizzare le impostazioni; supporti decisionali per facilitare il calcolo della dose di insulina considerando la glicemia, il fattore di sensibilità insulinica, i carboidrati assunti e l’insulina ancora attiva dalla precedente somministrazione (detta insulina on board – IOB); promemoria, allarmi di vario tipo, nonché la visualizzazione sempre più facile e immediata dei dati relativi al funzionamento dello strumento». Esiste il rischio che l’utente non sia in grado di cogliere tutte le possibilità offerte dal microinfusore? «Ricordo che 20 anni fa quando si prospettava ai pazienti la possibilità di passare alla terapia con microinfusore, uno dei maggiori ostacoli era il timore di sentirsi ‘attaccati ad una macchina’ 24 ore su 24», ricorda Claudio Tubili; «oggi tutti siamo abituati ad essere connessi continuamente a un cellulare o ad uno smartphone, magari teniamo sempre l’auricolare senza che questo sia percepito come una ferita all’immagine corporea. La qualità della nostra vita passa sempre di più attraverso una tastiera o un display».
D’altra parte si sono anche evolute le domande e le conoscenze delle persone con diabete. «Ieri una persona, quando scopriva di avere il diabete, doveva accettare una vita ‘diversa’, limitando pesantemente le sue scelte alimentari, di lavoro, di vita: era costretta a una rigida routine, perché questa era l’unica soluzione compatibile con i ritmi della terapia», continua Claudio Tubili. «Oggi, invece, la persona con diabete desidera legittimamente una vita ‘normale’, che significa imprevedibilità, diversità fra un giorno e l’altro, ricchezza di sorprese e di ostacoli».
Il microinfusore offre la possibilità di soddisfare queste esigenze, ma per il paziente si pone con forza la necessità di adeguare la terapia alla vita quotidiana (e non viceversa), in cui la persona con diabete non deve solo somministrarsi l’insulina, ma anche misurarsi la glicemia, valutare l’impatto che le scelte hanno avuto o avranno sull’andamento glicemico, individuare la qualità e la quantità dei carboidrati presenti nel pasto, tener conto dell’insulina ancora attiva nel suo organismo derivante dalla precedente somministrazione.
In una parola, di essere attento alla propria persona con competenza, costanza e motivazione.
«Proprio in questa logica è di fondamentale importanza la personalizzazione della terapia e della gestione del diabete in generale, stando sempre attenti alle condizioni reali di utilizzo del microinfusore e alle necessità di discrezione delle singole persone, che potrebbero voler raccogliere informazioni o dare istruzioni al microinfusore senza necessariamente doverlo mostrare in pubblico», fa notare Ester Vitacolonna.
Tutto questo emerge con forza durante i pasti. «Il pasto, soprattutto se si svolge in compagnia e fuori casa, può costituire un momento di alta valenza sociale, ma richiede un’attenta riflessione da parte della persona con microinfusore, la quale deve scegliere cosa mangiare, valutare la quantità e definire la dose e la modalità del bolo di insulina da effettuare sulla base del possibile effetto che avrà il pasto sulla glicemia misurata. In questa situazione, tutto ciò che aiuta a compiere scelte adeguate in modo accurato e sereno, si traduce in un miglioramento del controllo metabolico e della qualità della vita», continua Claudio Tubili.
«In questo senso possono essere di notevole aiuto i microinfusori dotati di un controllo remoto (simile a un telecomando), che dialoga con lo strumento e che consente di impartire le istruzioni o visualizzare i dati relativi al funzionamento, a distanza, senza estrarre il microinfusore da sotto i vestiti.»
Lo può testimoniare Claudio Tubili, Responsabile Scientifico dei Centri italiani che hanno partecipato allo studio ProAct, pubblicato recentemente su Diabetes Technology & Therapeutics. «Si tratta di un importante studio internazionale, svolto su 299 pazienti dai 25 ai 55 anni, valutati in 61 centri di 5 Paesi europei (Germania, Italia, Spagna, Francia, Svezia). L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’impatto di questa tecnologia sul controllo metabolico di persone che, come capita spesso nella vita quotidiana, devono cambiare il vecchio microinfusore e sostituirlo con un modello nuovo.
Nello studio è stato valutato un dispositivo dotato di controllo remoto; il rischio era che tale passaggio potesse in qualche modo peggiorare il compenso glicemico ottenuto per le difficoltà di utilizzo del nuovo microinfusore. All’inizio, a 3 e a 6 mesi dal passaggio al nuovo microinfusore, sono stati valutati alcuni indicatori del compenso glicemico, tra cui l’emoglobina glicata (HbA1c)», racconta Claudio Tubili.
«Lo studio ha dimostrato che il passaggio a un microinfusore tecnologicamente più avanzato non ha comportato un peggioramento dei valori di emoglobina glicata tra le persone che già partivano con un buon compenso glicemico, mentre si è osservato un miglioramento significativo in chi, con il ‘vecchio’ microinfusore, non era riuscito a raggiungere quest’obiettivo terapeutico e aveva valori di HbA1c superiori all’8%. Allo stesso modo sono stati osservati maggiori benefici nelle persone che avevano iniziato da poco la terapia con microinfusore (sigla inglese: CSII, ovvero Continuous Subcutaneous Insulin Infusion, o infusione continua sottocutanea di insulina,) da un tempo più recente rispetto a chi la utilizzava già da lungo termine».
Questi risultati da una parte sconfessano i timori di molti che identificano in questo passaggio un motivo di peggioramento del compenso glicemico ottenuto a causa dell’utilizzo del nuovo microinfusore, dall’altra confermano il ruolo di una tecnologia, discreta e di ‘facile utilizzo’, nel supportare le persone nella gestione del diabete in un momento così delicato della vita quotidiana.
Inoltre, a fronte di una riduzione significativa dei valori di HbA1c, lo studio ProAct non ha documentato un aumento degli eventi ipoglicemici dopo il passaggio al modello di microinfusore più avanzato «e questo è un dato da non sottovalutare: un’ipoglicemia severa infatti, oltre a comportare il rischio di un’ospedalizzazione (con i relativi costi), è un evento traumatico dal punto di vista psicologico, per il paziente e la sua famiglia: una possibile conseguenza è l’attestarsi su livelli glicemici alti di «eccessiva sicurezza» – decisi senza consultarsi con il Team – per non correre il rischio di un nuovo episodio di ipoglicemia, allontanandosi così dagli obiettivi terapeutici e svilendo le potenzialità di una tecnologia avanzata per la cura del diabete», conclude Claudio Tubili.