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Potenza, 15 dicembre 2015


Bambini e malattie croniche. No alla loro “ghettizzazione” a scuola

E' quanto potrebbe accadere se passasse la proposta della burocrazia del Miur che vorrebbe inserire i bambini con malattie croniche nell'area dell'handicap e dei Bisogni Educativi Speciali. Allargare la schiera delle persone che hanno bisogni educativi speciali con bambini che questo bisogno non ce l'hanno significa ghettizzare questi ultimi e “annacquare” il peso delle vere necessità, dei veri “bisogni speciali”

09 DIC - Fino a qualche anno fa, quando a un bambino veniva diagnostica una patologia cronica come il diabete, l'asma, l'epilessia o altro, si aprivano scenari tragici sia per la famiglia che per il futuro scolastico del bambino. E questo non solo perché erano meno gestibili le cure (i farmaci “pediatrici” sono un approccio relativamente recente) ma anche perché il contesto intorno a quel bambino non era abituato ad interagire con questo tipo di problematiche.

Poi, per vari motivi, quasi tutto è cambiato.
a) La scolarizzazione di massa ha consentito alla totalità dei bambini italiani di accedere alla scuola pubblica.
b) Per molti bambini con patologie croniche c'è stata la possibilità di affrancarsi dal domicilio grazie a farmaci più facilmente somministrabili (es. diabete, asma).
c) Conseguentemente a quanto sopra, un numero crescente di bambini con patologie croniche ha potuto frequentare la scuola.

A tutto questo si è aggiunto l'atteggiamento delle famiglie per le quali si è fatta più forte l’idea del diritto allo studio per i propri figli. Un diritto allo studio reclamato con forza soprattutto nei casi in cui non è la patologia in sé ad impedire la frequenza delle lezioni ma l’assenza di una rete di sostegno organizzativo da parte della scuola e delle altre istituzioni. Infine, in questo contesto, per gli insegnanti – e per tutti i cittadini italiani – sono aumentate le conoscenze di base in tema sanitario e di sicurezza. Esistono conoscenze sanitarie di base diffuse, acquisiste attraverso programmi televisivi, rubriche specializzate su mass media e su web. Non solo, il tema della sicurezza è entrato nel quotidiano di ogni realtà collettiva (Pubblica Amministrazione, aziende, ecc.) grazie a normative ed esercitazioni che impegnano anche la scuola nel suo complesso.

In sostanza, il tema della gestione delle patologie croniche a scuola è uscito da un contesto tabù ed è entrato prepotentemente nelle aule. L'entrata ufficiale di questo tema nelle scuole avviene con la pubblicazione, il 25 Novembre 2005, delle "Linee-Guida per la somministrazione di farmaci in orario scolastico", predisposte congiuntamente dai Ministeri dell'Istruzione e della Salute: con queste si è dato inizio ad un percorso che la scuola sta conducendo per adeguarsi ad una esigenza sempre più impellente. Più di recente, nello stesso percorso si inseriscono le indicazioni contenute nel Piano nazionale per il diabete e quello sulle malattie rare che riguardano la necessità di individuare modalità condivise e omogenee sul territorio nazionale per la somministrazione dei farmaci a scuola. Nell'ottobre 2012 il MIUR ha istituito il “Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci a scuola” - composto dal Ministero della Salute, Conferenza Unificata, ANCI, Regioni, ISTAT, consulenti su specifiche patologie croniche e MIUR stesso - per capire come procedere e dare seguito in modo concreto alle esigenze che da genitori, da insegnanti e da associazioni giungevano sia al MIUR sia al Ministero della Salute.

Il Comitato ha proceduto all’esame delle diverse soluzioni adottate nelle Regioni per dar seguito alle linee guida del 2005. Gli elementi emersi sono diversi e attengono a differenti aspetti della questione:
1) Le Raccomandazioni del 2005 hanno posto l’accento su un problema che cominciava ad assumere proporzioni notevoli ma non ha messo tutte le scuole del Paese nella condizione di dotarsi di strumenti adatti.
2) Nella maggior parte dei casi la pressione dei genitori sulle scuole è stata l’elemento scatenante perché si trovassero soluzioni prima sperimentali e poi di sistema.
3) Troppo spesso è accaduto le soluzioni siano state trovate per rispondere a quanto previsto dalla sentenza di un magistrato attivato da genitori di bambini con patologie che necessitavano della somministrazione di farmaci a scuola.
4) L’assenza della medicina scolastica all’interno delle scuole è un dato ormai acquisito anche se a volte si lamenta il vuoto che si è venuto a creare tra la presenza a scuola dei bambini e il loro essere seguiti dai rispettivi pediatri senza un evidente legame tra i due momenti.
5) Il problema ha due fronti: la tutela della salute del bambino e la responsabilità degli insegnanti. In sostanza, esiste una difficoltà da parte dell'insegnante a compiere su un alunno il medesimo intervento che farebbe con il proprio figlio perché spesso, in caso di eventi avversi, le responsabilità non sono ben definite e gli insegnati tutelati.
6) Le soluzioni consolidate in alcune Regioni prevedono sempre l’attivazione di tutta la rete delle istituzioni interessate e una modulistica più o meno simile che informa le famiglie e solleva da responsabilità l’insegnante coinvolto.
7) La responsabilizzazione di tutti i soggetti (Scuola, ASL, Comune) risponde alla necessità di creare e alimentare una rete che ha come obiettivo principale la somministrazione del farmaco ma che ruota, in verità, attorno a molti altri aspetti come: la prevenzione, la sicurezza dei locali, il controllo delle diete alimentari, il coinvolgimento di tutte le istituzioni in un processo importante come quello della concretizzazione dei diritti allo studio e alla salute per tutti.
8) E’ molto presente e richiesto il tema della formazione degli insegnanti su aspetti specifici della somministrazione dei farmaci e in caso di emergenze di carattere sanitario in classe.
9) Per quanto riguarda le situazioni di emergenza, è emersa la necessità di trovare soluzioni adeguate con il coinvolgimento preventivo del 118. Infatti, in alcuni casi lo stretto collegamento tra la Sala operativa del 118 e le scuole ha consentito agli insegnanti, guidati dagli operatori sanitari, di praticare un primo intervento salvavita.

Altro strumento di conoscenza del Comitato è stata la rilevazione ad hoc realizzata dall'ISTAT che ha restituito informazioni sugli interventi eseguiti nelle scuole (circa 5.000 di routine e 4.500 in situazioni di emergenza rivelatisi poi gestibili con adeguata formazione). Tenuto conto di quanto già in atto in alcune Regioni, è stato costruito un modello individuando un set minimo di azioni (delibere, flow chart e modulistica-tipo) con procedure certe e condivise tra i vari soggetti interessati dal problema (Scuola, ASL, Comune) attraverso un Gruppo di coordinamento. Al contempo si è reso necessario definire procedure a tutela dei docenti che intervengono nella somministrazione dei farmaci e nei casi di emergenza evitando loro situazioni paradossali nei casi in cui all’intervento eseguito possano seguire eventi avversi.

Da un punto di vista di diritto alla salute, si è puntato ad un concetto di empowerment del paziente e di cultura della salute: corsi di formazione erogati da ASL verso gli insegnanti in modo tale da “normalizzare” una prassi (quella della somministrazione dei farmaci) ormai usuale a chiunque. E, in questo contesto, di normalità e di risposta ad un bisogno prettamente sanitario, il bambino è stato salvaguardato da situazioni-ghetto, da impostazioni dove la malattia prende il sopravvento e diventa l'unico quotidiano vissuto dal bambino all'interno del quale si deve stravolgere anche il diritto all'istruzione, inserendolo sotto il cappello di un bisogno di educazione/istruzione “speciale”.

Purtroppo questa attenzione del Comitato Paritetico rischia di essere messa seriamente in discussione da una recente posizione da parte dell'apparato burocratico del MIUR che, intervenendo a documento finale già pronto, emendato da Associazioni, Società scientifiche, Garante dell'infanzia e dell'adolescenza, chiede che tutto l'impianto, condiviso con le Regioni, venga smantellato a favore di un approccio che vede questi bambini inseriti nell'area dell'handicap e dei Bisogni Educativi Speciali.

Ovviamente è legittimo da parte del MIUR emanare direttive in merito all’organizzazione scolastica, ma qui si discute dell’opportunità di farlo quando questa direttiva “scarica” sul Servizio Sanitario Nazionale gli oneri derivanti da questa direttiva. Ciò che è emerso dagli approfondimenti eseguiti con le direzioni delle Aziende Sanitarie associate a Federsanità-ANCI è riassumibile in questa frase semplice e comprensibile: “Chiunque abbia un figlio con cronicità è in grado di somministrargli le cure ordinarie necessarie con un minimo di istruzioni fornite dal medico”. Ciò detto parrebbe inopportuno che la Scuola (per i 5.000 casi l’anno sopra citati) non si rendesse disponibile, previa adeguata formazione del proprio personale, a supportare questi alunni.

Di recente, il 3 dicembre, è stata celebrata la giornata delle persone con disabilità. Una data che con gli anni segna anche il progresso che c'è stato, per esempio, anche sotto l'aspetto linguistico dove, inizialmente, il termine handicappato era una forma di stigma. Con gli anni si è giunti a “diversamente abile”, riconoscendo alle persone altre qualità e avviando addirittura percorsi professionali legati al diversity management.

Oggi, però, con l'azione del MIUR si sta cercando di tornare indietro anche rispetto a tutto questo. Allargare la schiera delle persone che hanno bisogni educativi speciali con bambini che questo bisogno non ce l'hanno significa ghettizzare questi ultimi e “annacquare” il peso delle vere necessità, dei veri “bisogni speciali”. Il nostro Paese è diventato grande perché ha reso “normale” quello che una volta era “speciale”, per pochi e, tuttavia, riconoscere il tema della diversità non può portare ad un mondo di “diversi”.

Il Comitato ha ormai terminato il suo percorso ottenendo il parere positivo delle Regioni, delle Associazioni di pazienti, delle Società scientifiche, del Garante per l'infanzia e l'adolescenza. Ora ci si aspetta che il MIUR trasmetta questo lavoro alla Conferenza Unificata e si possa passare ad una fase di diffusione sull’intero territorio nazionale, consentendo a tutti i bambini e ai loro genitori di accedere alla scuola in tranquillità.

Enzo Chilelli
Direttore Generale Federsanità ANCI

Fonte: quotidianosanita.it, 9 dicembre 2015



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